Gli assistenti digitali, quegli oggetti che ormai rispondono più velocemente di certi politici a domande scomode, stanno cambiando le nostre case e la nostra vita.
Alexa, Google Assistant, Siri: nomi che fanno pensare a intelligenze sopraffine, ma che, se vogliamo essere onesti, spesso faticano a distinguere un comando dal miagolio del gatto. Detto questo, il futuro di questi assistenti sembra luminoso, almeno per chi li produce e ci guadagna sopra.
La centralità dell’intelligenza artificiale
Parliamo di intelligenza artificiale, il cuore pulsante di questi sistemi. Oggi sono bravi a farci accendere le luci e abbassare le tapparelle, ma domani potrebbero persino riuscire a intuire che stiamo per urlare loro contro. L’obiettivo è renderli più “intelligenti”, capaci di prevedere le nostre mosse. Certo, suona bene, ma se pensiamo che questi strumenti spesso non capiscono nemmeno quando diciamo “stop”, qualche dubbio viene.
Un esempio? Immaginate di tornare a casa stanchi e trovare tutto già pronto: luci soffuse, temperatura perfetta, musica di sottofondo. Peccato che, al momento, se non specifichiamo anche l’artista e l’anno di pubblicazione della canzone, potremmo ritrovarci ad ascoltare una playlist di canti gregoriani.
La domotica integrata: un ecosistema unificato
Il sogno è un ecosistema unificato, dove ogni dispositivo parli con gli altri come in un consiglio di ministri ideale. Peccato che oggi, più che un dialogo, sembra un litigio da condominio: ogni produttore vuole il suo protocollo, la sua app, il suo modo di complicarci la vita. Si parla di standard come Matter, che dovrebbero mettere tutti d’accordo. Sì, certo, come quando si parla di riformare il fisco.
Se tutto funzionasse, potremmo davvero entrare in una casa che ci coccola: riscaldamento attivato, playlist giusta, caffè pronto. Ma per ora, siamo ancora lontani dall’idillio, tra dispositivi che non si riconoscono e aggiornamenti software che sembrano più complessi delle manovre di bilancio.
Maggiore sicurezza e privacy
La questione della sicurezza è cruciale. Perché con tutti questi dati che raccogliamo e condividiamo, il rischio di un cyber-attacco è dietro l’angolo. Gli sviluppatori promettono sistemi di crittografia avanzati e dati biometrici per proteggerci. Ma, diciamocelo, quanti di noi hanno già trovato i propri dati personali in chissà quale archivio online? Fidarsi è bene, ma a volte è anche inevitabile, visto che alternative non ce ne sono.
Elaborazione locale dei dati: è questa la promessa del futuro. Niente più invii a server remoti, ma elaborazione direttamente nei dispositivi. Sì, ma quanto tempo ci vorrà perché diventi la norma e non l’eccezione?
Il ruolo della sostenibilità
Gli assistenti digitali promettono anche di essere amici dell’ambiente. Saranno capaci di spegnere luci e apparecchi inutilizzati, ottimizzare i consumi energetici e suggerire soluzioni per ridurre gli sprechi. Bene, ma facciamoci una domanda: quanta energia consumano loro stessi, connessi h24, pronti a rispondere anche se li chiami per sbaglio?
Certo, l’idea è interessante: ottimizzare l’uso delle risorse, monitorare i consumi e magari insegnarci a vivere in modo più responsabile. Ma viene da chiedersi: questi assistenti sono una soluzione o una pezza su un sistema che, di suo, è tutt’altro che sostenibile?
Verso un’interazione sempre più naturale
Il sogno è che un giorno questi assistenti possano dialogare con noi come un amico o un partner fidato. Comprendere le sfumature del linguaggio, il tono, le emozioni. Già oggi alcuni ci provano, ma spesso il risultato è comico: provate a chiedere a un assistente digitale di raccontarvi una barzelletta e capirete quanto siamo lontani dall’empatia.
Si parla di interfacce multimodali, che combinano voce, gesti e immagini. Sembra fantastico, ma ricordiamoci che molte delle promesse tecnologiche si sono rivelate più marketing che realtà. Aspettiamo e vediamo.
Fonte: Techdot